Reiki

E’ bene puntare il dito, e fin da subito, verso l’elefante nella stanza: il Reiki è una pseudoscienza. Questo significa che si tratta di un qualcosa che sembra scienza, ma alla fine non lo è: alla stessa categoria appartengono, ad esempio, discipline come la riflessologia, la cromoterapia e l’osteopatia.

Pur essendo caratterizzato da una certa logica e coerenza interna, il funzionamento della natura descritto da queste discipline non rispecchia il reale andamento delle cose. Questo perché vengono affermate cose non vere, non dimostrabili, non misurabili o già dimostrate come false.

Stante questa premessa, dovremmo dunque escludere a priori, e in blocco, questa forma di “cura attraverso l’energia”?

Prima di essere categorici, proviamo a fare un passo indietro passando in rassegna i fondamenti del Reiki, per poi confrontarli con i risultati degli studi scientifici. Anche la psicoanalisi, del resto, è una pseudoscienza: eppure ha influenzato e continua ad influenzare gli studiosi della mente.

Cominciamo con il dare uno sguardo ai capisaldi di questa disciplina attraverso le parole di N., una terapista Reiki:

Breve storia del Reiki
Il Reiki nasce in Giappone intorno alla fine del XIX secolo, sviluppato come metodo di cura da Mikao Usui. Il fondatore impiegava questa disciplina come terapia alternativa per il trattamento dei disturbi psicologici, fisici e mentali, così da restituire il ben-essere della persona.
Nasce in Giappone, inizia i suoi studi c/o Monastero Buddista Tendai. Si dedica alle arti marziali.
Nel 1922 come risultato finale di un percorso spirituale con diguno per 21 gg, entra in contatto con Reiki e comprende come utilizzarlo quale strumento di crescita personale, evoluzione spirituale e autoguarigione.
Apre quindi il primo centro di Pratica ed insegnamento, con il motto ” In unione con il proprio sé attraverso armonia ed equilibrio”.
Uno degli allievi di Usui, Hayashi, alla morte del maestro fondò una propria associazione, semplificando la disciplina ed insegnandola in una clinica per casi gravi.
La terza maestra nella discendenza di Usui, Hawajo Takata (di origini Hawaiane), continuò la tradizione dei predecessori, diffondendo il Reiki e dedicando la propria vita all’insegnamento. Prima della sua morte arrivò a formare 22 maestri, così che potessero mantenere lo stesso spirito a la continuità della disciplina.

Che cosa è il Reiki
I mistici, sin dall’antichità, sostenevano che tutto è energia – affermazione oggi sempre più comprovata dalla scienza. La materia non sarebbe un’entità definita e chiusa in sé stessa, ma una forza viva e pulsante in continua relazione con sé stessa e con l’ambiente.
Il Reiki rinforza e accelera il processo naturale di guarigione, vivifica il corpo e lo spirito, ripristina l’armonia psichica e il benessere dell’animo, esplicando così il proprio effetto su tutti i piani. Riequilibra il sistema energetico, scioglie i blocchi e sollecita la completa distensione, favorisce l’eliminazione delle tossine, adeguandosi alle necessità naturali di chi lo riceve.
È efficace sulle piante, sugli animali, sulle situazioni.

Reiki: il metodo
Il Reiki e’ un metodo di guarigione che agisce sul piano energetico, ossia sull’ aura, sui chakra e sui corpi sottili, esplicando la propria azione sui blocchi energetici che sono la causa primaria delle malattie.
Attraverso il Reiki prendiamo contatto con tutto il nostro essere, spirituale, mentale, emozionale, e fisico sollecitando la guarigione su tutti i piani.
Chi pratica il Reiki percepisce lo scorrere dell’energia; questa percezione si manifesta sotto una forma di calore o di vibrazioni sottili. Chi riceve Reiki, invece, percepirà un profondo rilassamento e un piacevole senso di ben-essere, oltre ad una alla diminuzione del dolore fisico.
Dovrebbe essere praticato ogni giorno come una prevenzione.
Il Reiki non nuoce ai tessuti delicati, alle strutture nervose; è innocuo, pratico e sicuro.
Il Reiki e’ uno strumento di crescita e di evoluzione interiore, ci eleva naturalmente dal materiale verso lo spirituale, permettendoci di accedere a una visione diversa dell’ esistenza e innalzare la nostra coscienza passando attraverso il cuore e al potere dell’amore per rendere la nostra esistenza migliore.
Con il Reiki tutti possiamo diventare canali attraverso il quale scorre energia, in modo spontaneo e in quantità illimitata, si diventa tramiti di essa per raggiungere chi sta soffrendo per portare beneficio, semplicemente attivando Reiki e con la sola imposizione delle mani.
È importante comprendere la nostra funzione di tramiti per non cadere nel concetto di potere e di potenza che può essere innescato dal nostro ego.

Il ruolo del terapeuta
È qualcosa di molto delicato e complesso. Per prima cosa, egli soffre degli stessi problemi che sta cercando di curare negli altri. È fondamentale non pesare di fare un qualcosa per aiutare gli altri, in quanto questo ti fa credere di essere un salvatore, un maestro – e l’ego entra di nuovo in gioco.
Il Reiki viene utilizzato in più di mille ospedali nel mondo: uno studio rivela che solo negli Stati Uniti siano più di 800 gli ospedali in cui viene utilizzato, nel Regno Unito 61, a Madrid 12.
Si hanno notizie anche in svizzera, Francia, Portogallo, Brasile, Argentina, Porto Rico, Messico, Bolivia e Kenya.
Seppur lentamente, anche in Italia la pratica di Reiki come medicina complementare sta sempre più diffondendosi: ad esempio presso il Centro di Medicina Psicosomatica di Milano. All’Ospedale Versilia (Regione Toscana) Reiki è incluso [era incluso, NdR] nei servizi a pagamento.
Altre sperimentazioni le abbiamo a Torino (Molinette) e a Roma (Istituto Nazionale Tumori Regina Elena), nelle quali si valuta la riduzione della soglia del dolore – cosa che si estrinseca in una riduzione dei giorni di malattia e ad un minor consumo di analgesici.
A Firenze e’ stato condotto uno studio di controllo su un gruppo non trattato di portatrici di infezione cervicale da virus HPV ha evidenziato che la regressione spontanea sia stata del 27% mentre nelle pazienti trattate con il Reiki la regressione si e’ avuta nell’83% dei casi.

I presupposti per una disciplina dagli effetti importanti ci sono tutti: le origini antiche, le radici orientali, l’energia. Nonostante ciò il Reiki punta molto sulla modestia e sull’umiltà: l’operatore è un tramite, più che un guaritore attivo.

Sull’efficacia del Reiki è stato detto di tutto e il contrario di tutto, cosa per la quale diventa difficile districarsi tra la marea di risultati restituiti da una semplice ricerca Google (spessi tutti identici tra loro, vista la tendenza dei vari siti “di nicchia” a copiare e incollare i contenuti degli altri).
Uno degli studi italiani più diffusi attraverso questi canali, condotto a Firenze, riguarderebbe l’efficacia del Reiki nella cura dell’infezione cervicale da HPV. Nonostante le dichiarazioni (che parrebbero messe in giro direttamente da medico che ha condotto la sperimentazione) non è stato possibile reperire alcun lavoro “peer reviewed” (ovvero sottoposto a revisione alla pari) su riviste italiane o estere indicizzate.

La ricerca di studi validi, anche attraverso il portale PubMed, si è rivelata difficile, ma non infruttuosa. Vediamo perchè.
Molti degli studi condotti con un certo criterio presentano difetti metodologici non trascurabili: popolazione risicata (difficile trarre conclusioni su 10-15 pazienti), mancanza di gruppo di controllo, mancanza di confronto con il placebo. Una delle meta-analisi più significative [1], che avrebbe dovuto sancire l’assoluta efficacia della pratica nel trattamento del dolore cronico, ha addirittura mal interpretato i risultati, dichiarando erroneamente la loro significatività statistica [2]. Altri studi [3] hanno dimostrato come è possibile ottenere risultati fuorvianti forzando le condizioni di partenza, ovvero creando gruppi “non in cieco”, utilizzando in modo scriteriato i farmaci e non effettuando nessun controllo sulle attività extra-studio dei soggetti.

Altri ancora, basati sulla revisione della letteratura (su 49 articoli ne sono stati selezionati solo 7, gli altri sono stati scartati per grossi vizi metodologici), hanno dato risultati incoraggianti – seppur con la riserva di proseguire gli studi – per quanto riguarda la gestione del dolore e dell’ansia. Il che non è assolutamente un risultato da poco [4].

Risultati simili si ritrovano in uno studio del 2016 [5] e uno del 2017 [6]: il Reiki sembrerebbe efficace nel ridurre la quota ansiosa e il dolore percepito in individui sottoposti a chirurgia del ginocchio. Analoghi risultati si avrebbero in uno studio riguardante i bambini, sebbene il limitato campione (18 soggetti) non abbia consentito, a detta degli autori, il raggiungimento della soglia di significatività (risultati che, dunque, non andrebbero considerati) [7].

Un altro studio (review) del 2016 [8], dedicato al “tocco terapeutico”, sembrerebbe aver dimostrato effetti positivi su ansia, dolore, nausea e parametri biologici. La review, al solito, è stata difficoltosa a causa della scarsa qualità degli articoli messi sotto esame (oltre la metà dei lavori selezionati è stata scartata).

Che dire, allora?

È giusto – anzi, è fondamentale – che la medicina si attenga strettamente all’evidenza scientifica, senza mai abbandonarla. Sarebbe il caos, altrimenti. Così come si potrebbe discutere a lungo sulla legittimità dell’impiegare fondi pubblici per fare ricerca su discipline universalmente non riconosciute.

Bisogna anche dire, però, che alcuni risultati sono stati confermati. Non su tutte le problematiche, certo, ma questo vale ad esempio anche per un antibiotico o un analgesico. Rimane comunque il forte sospetto (in alcuni studi il sospetto diventa certezza) che gran parte di questi siano legati all’effetto placebo, o ad una sua qualche induzione o potenziamento.

Ma, all’atto pratico, importa?

No. Se manteniamo ben saldo quanto detto sopra sulla medicina, se si evita di lucrare sulla salute delle persone, e se si presta attenzione che a NESSUNO venga mai in mente di abbandonare le cure prescritte dal personale sanitario neanche per mezza giornata, non importa.

Avere la pretesa di trasferire sul piano scientifico cose che, per definizione, non lo sono, è sempre una cattiva idea. Così come lo è cercare di trovare una qualche logica e riproducibilità in quel mondo eterogeneo, sfuggevole e non misurabile che la spiritualità di un individuo.

La cosa giusta da fare, in queste situazioni, è quella di spostare la discussione dal piano scientifico (dove è già stato detto tutto ciò che c’è da dire) riportandola su di un piano umano. Il potere di questa e altre discipline è proprio questo: la capacità di parlare un linguaggio universale, comprensibile a tutti, attraverso l’opera e la presenza materiale e immateriale di una persona. Non attraverso il blister di un farmaco o il letto di un ospedale (indispensabili e irrinunciabili, sia chiaro), ma per mezzo del contatto umano. Contatto che, purtroppo, viene sempre più spesso perduto.

La delicatezza di questo processo è insita nella descrizione del terapista, così come riportata da N. : “…per prima cosa, egli soffre degli stessi problemi che sta cercando di curare negli altri“. Possiamo chiamarla o mascherarla come vogliamo, ma la chiave di tutto sta nell’empatia. Capire, e non compatire, la sofferenza degli altri. Offrire un aiuto disinteressato, mosso da un legame umano trasversale e che tocca tutti; abbandonare la rigida verticalità di un do ut des da sempre legato al binomio salvatore-salvato. Essere semplicemente un tramite per un qualcosa che fa parte della natura umana, lasciandolo fluire epurato da ogni sovrastruttura artificiale (“… È importante comprendere la nostra funzione di tramiti per non cadere nel concetto di potere e di potenza che può essere innescato dal nostro ego”).

Sebbene una corretta educazione alla salute (alla medicina, alla fisica e così via) sia imprescindibile, per molte persone la malattia rappresenta un momento critico nel quale la razionalità viene offuscata dall’ansia e dalle preoccupazioni. Riflettere su elementi facilmente accessibili e spontanei come la natura, l’universo, l’energia può diventare un importante strumento di crescita ed evoluzione interiore, arrivando a toccare recessi dell’animo sino a quel momento sconosciuti, svincolandosi temporaneamente dal piano materiale e dalle relative preoccupazioni. Non dobbiamo pensare a questi elementi come a un qualcosa di concreto per quanto impalpabile, ma come metafore delle nostre necessità. Non ha senso dare loro una connotazione precisa, tentare di misurarli o pensare di inserirli in qualche logica. Non obiettivi, non oggetti, ma strumenti (“una visione diversa dell’ esistenza […], innalzare la nostra coscienza passando attraverso il cuore e al potere dell’amore per rendere la nostra esistenza migliore”).

Fare un qualcosa, anche una piccola cosa, per rendere la nostra esistenza migliore. Sembra poco, ma non lo è. Anzi, è tutto ciò a cui possiamo aspirare.

Il dialogo con N. mi ha colpito particolarmente, in quanto non è facile mantenere l’equilibrio tra un certo tipo di apertura interiore e il rigore necessario all’assistenza di persone sofferenti. Dal breve scambio intercorso è emersa una determinata consapevolezza delle potenzialità e dei limiti di ogni strumento. E persone straordinarie come lei, così come tutte quelle che riescono in questo difficile compito, possono davvero fare la differenza nel rendere migliore l’esistenza – a volte troppo breve e troppo dolorosa – di persone che ne hanno bisogno.

[1] The effect of reiki on pain: A meta-analysis

[2] Misinterpretation of the results from meta-analysis about the effects of reiki on pain

[3] Effects of Reiki Versus Physiotherapy on Relieving Lower Back Pain and Improving Activities Daily Living of Patients With Intervertebral Disc Hernia

[4] Effect of Reiki Therapy on Pain and Anxiety in Adults: An In-Depth Literature Review of Randomized Trials with Effect Size Calculations

[5] Reiki’s effect on patients with total knee arthroplasty: A pilot study

[6] Effects of Reiki on Pain, Anxiety, and Blood Pressure in Patients Undergoing Knee Replacement: A Pilot Study

[7] Reiki Therapy for Symptom Management in Children Receiving Palliative Care: A Pilot Study

[8] Effect of Therapeutic Touch in Patients with Cancer: a Literature Review